In queste situazioni c’è poco da interpretare: i fatti riportati sono una sentenza senza appello. L’interruzione del servizio di erogazione idrica nel comune di Forno ha smosso un vero e proprio polverone (sic) in tutta la provincia, con politici, enti territoriali e associazioni che hanno chiesto fin da subito chiarimenti.
Perché tutto questo baccano per un piccolo comune di 700 abitanti? La risposta è presto detta: la causa sarebbe la furiosa attività estrattiva delle cave situate sulle Alpi Apuane e il conseguente rilascio di enormi quantità di marmettola sui corsi fluviali che scendono proprio dai complessi montuosi.
Oggi forse è successo solo a Forno, ma chi lo sa che tutto il sistema idrico apuano possa un giorno risultare irrimediabilmente compromesso?
Di questa idea è di certo il Coordinamento dei Comitati e delle Associazioni per la depurazione, le bonifiche e la ripubblicizzazione del servizio idrico (CCA), che dopo gli eventi avvenuti poche ore fa, ha deciso di mandare una lettere aperta al sindaco di Massa Francesco Persiani per indagare sugli effettivi “responsabili”, sia materiali che individuali, alla base dell’inquinamento del fiume Frigido.
Si cita la costituzione, pareri di ingegneri di Gaia Spa, ma il succo è davvero molto semplice: è necessario creare un progetto sostenibile tra occupazione e ambiente, o i rischi per l’ecosistema e la salute dei cittadini potrebbe diventare sempre più reale.
“Gentile signor sindaco, nel sito web del Comune di Massa compare da sabato scorso la Sua ordinanza di divieto di utilizzo dell’acquedotto a Forno (Frazione di Massa di 700 abitanti), ordinanza (n. 169 del 19.11.2022). Il divieto riguarda qualunque uso: alimentare, idroponico e igiene della persona. Ieri, abbiamo letto sui quotidiani delle dichiarazioni, rilasciate dal referente del gruppo di intervento giuridico del presidio Apuane (che ha grande esperienza in questo settore), che imputa le responsabilità dell’elevato grado di torbidità alla sorgente del Frigido (110 volte superiori al limite consentito dalla legge e che serve la frazione di Forno) alle attività estrattive del marmo (detta marmettola che è una polvere di marmo). Stamani leggiamo sui quotidiani che l’ingegner Francesco Di Martino di Gaia spa riconosce che: quel materiale è
ricollegabile anche all’ attività estrattiva sulle Apuane, non – o non solo – a quella attuale, ma anche a quella degli anni precedenti. A questo punto signor sindaco, nella sua funzione di ufficiale di governo (Art. 54 T.U.E.L.), le chiediamo, con la massima urgenza, di superare questa situazione di inerzia e di indagare rispetto all’attribuzione delle responsabilità. Infatti, quello che si prefigura non è solo un gravissimo disastro ambientale, ma può rappresentare una minaccia per la salute, nonché un danno economico per i cittadini che si sono visti, per anni, imputare in bolletta un onere che non competerebbe loro ma a chi ha inquinato. Non ci rimane che constatare che quello che sta accadendo è in violazione all’articolo 9 della costituzione, che recita: La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali, e all’articolo 41, il quale afferma che l’attività economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Ma anche all’articolo 32 sulla tutela della salute”.