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Scritto da Redazione
Politica
06 Ottobre 2020

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- Questa in sintesi l’analisi fatta dalla sezione Apuo Lunense di Italia Nostra in merito ai progetti relativi ai marciapiedi di via Giovan Pietro ad Avenza e di viale Colombo a Marina di Carrara e soprattutto in merito agli interventi sul verde urbano di queste zone.

Significativa la vicenda del marciapiede in marmo di via Giovan Pietro per il quale nel dicembre del 2019 venne accusato il marmo stesso come responsabile del dissesto che da anni caratterizza quel tratto di strada - marmo fragile, scivoloso, soggetto a dilatazione termica, poco resistente al transito - arrivando a proporre con una delibera di sostituirlo con un conglomerato bituminoso tipo Naturbit, di cui veniva sottolineato l’ampio uso nei centri storici per le sue qualità, per poi, pochi mesi dopo, ritrattare tutto e tornare a proporre il marmo bocciardato dopo che l’ufficio LLPP ha bocciato il conglomerato in precedenza approvato.

“Ci disorienta la mancanza di una programmazione seria, di una visione d’insieme dei problemi. – hanno fatto sapere da Italia Nostra - Si procede per tentativi: è tutto un fare e disfare. Sospettiamo che, in questo caso specifico, il cambio di decisione sia determinato dai risultati oggettivamente negativi del conglomerato utilizzato per il marciapiede di Viale Colombo. Ma la nostra attenzione è catturata da un altro aspetto, a noi particolarmente caro. Quando, il dicembre scorso, uscì sulla stampa la notizia del rifacimento del marciapiede e vi si affermava che l’abbattimento dei pini sarebbe stato subordinato alla valutazione di salute e stabilità degli stessi, ci rallegrammo. Pensammo che il sacrificio dei 17 pini sani e robusti di Viale Colombo fosse servito a qualcosa: a non abbattere più alberi senza la preliminare valutazione agronomica, peraltro obbligatoria.”.

Il progetto recitava: “Per salvaguardare le alberature di pino esistenti si ritiene necessario effettuare indagini specializzate con prove di trazione per valutare la salute e la stabilità della pianta alla rottura e al ribaltamento. Tale valutazione andrebbe effettuata prima e dopo l’intervento sugli apparati radicali superficiali”. Coerentemente con ciò, nel computo dei lavori comparivano le due voci di spesa: Attività di consulenza agronomica (5.000 euro) e Rilievi accertamenti indagini- Analisi specialistiche su alberature (5.000 euro).”. Italia Nostra ha messo in evidenza, come già aveva fatto per il caso dei pini di viale Colombo, l’incongruenza del ricorso ad agronomi esterni pur avendo all’interno di Nausicaa un agronomo responsabile del verde pubblico pagato dal comune che farebbe pensare a una mancanza di fiducia in questa figura che, se così fosse, andrebbe sostituita. Italia Nostra si è presa la briga di leggere la perizia degli agronomi esterni e l’ha giudicata molto approssimativa e imprecisa, fatta solo di citazioni copincollate e priva di parti scientifiche fondamentali.

“ Si tratta di un citato pressoché identico a quanto si può trovare in siti di pubblico accesso, senza alcuna rielaborazione, senza il dovuto virgolettato che segnala la citazione e senza la dovuta citazione bibliografica. Purtroppo, non vediamo le schede e manca un sommario (tabella) che riassuma le caratteristiche morfologiche, i difetti, le classi di pericolosità e quindi le prescrizioni. Non c'è una prova strumentale: probabilmente, perché di fatto non ci sono difetti. Supponiamo quindi che le piante vengano abbattute per la valutazione del rischio e non per la propensione al cedimento. Ma quando si parla di pini, a meno che non abbiano conclamati difetti, solo le prove di trazione ci possono dire se sono soggetti a stramazzo o meno.Per i nostri pini, classificati in C (rischio moderato), l’agronomo consiglia uno stretto controllo periodico, salvo poi, poche righe dopo, aggiungere che, pur non essendo in stato di grave pericolosità di caduta, stanno creando danni alle pavimentazioni presenti sottochioma . Ma se l’agronomo dice che sono in C, perché devono essere abbattuti, visto che il marciapiede si può rifare con tecniche che ne impediscono il sollevamento da parte delle radici? E se il marciapiede non fosse dissestato, sarebbe stata ugualmente commissionata una perizia agronomica sulla “stabilità” dei pini? “. La conclusione tratta da Italia Nostra è dunque quella di: “capitale naturale che non è trattato come parte integrante del tessuto urbanistico, ma ancora una volta è trattato come corpo estraneo, pronto ad essere sacrificato in nome del capitale costruito. Gli strumenti conoscitivi e regolatori, nonostante una loro buona diffusione, stentano ad essere applicati nella prassi gestionale e, ciò, nonostante sia abbastanza codificata e regolamentata anche la gestione “tecnica”. L’anello critico della filiera è proprio l’amministrazione locale. Il verde, il cui governo richiede un approccio integrato per la sua complessità e multidisciplinarietà, continua a non essere oggetto di specifica pianificazione, continua ad essere vittima del ritardo culturale e della “distorta” percezione pubblica, da cui scaturiscono, in modo inevitabile, una drammatica banalizzazione e il dileggio delle informazioni tecniche e scientifiche, lasciando il posto al luogo comune e alle credenze popolari.È vuoto esercizio linguistico parlare di qualità della vita e di resilienza urbana se poi si persevera nel ritardo culturale di non riconoscere, nei fatti, la funzione di mitigazione ai cambiamenti climatici, di termoregolazione, di cattura delle polveri sottili degli alberi, soprattutto di quelli maturi e con ampia chioma, come i pini, peraltro, assieme ai lecci, i più tolleranti all'aumento delle temperature e richiedenti meno irrigazioni, proprietà di non poco conto in considerazione del cambiamento climatico. “.

 

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