Poca chiarezza, ed ancor meno giustizia, è stata fatta dal quel lontano 3 febbraio 2005, sul disastro aereo in cui persero la vita 105 persone, di cui tre erano nostri connazionali: Gianluigi Barattin, Andrea Pollastri e Bruno Vianini.
Erano i giorni del rapimento della giornalista Giuliana Sgrena che veniva sequestrata in Iraq proprio all'indomani del disastro aereo. Tutti gli organi d'informazione parlavano di questo fatto, inquadrato entro un panorama geopolitico di forte tensione in cui la guerra afgana non trovava tregua nonostante l'intervento internazionale.
Ma anche dopo la liberazione della giornalista, prevalse il silenzio stampa sulla vicenda e solo certa stampa alternativa dedicò qualche pezzo allo schianto del volo di linea Kam Air 904, decollato alle 14.32 dall'aeroporto di Herat e mai atterrato all'aeroporto di Kabul, dov'era diretto.
Resta tutt'oggi uno spinoso enigma avvolto da contraddizioni non chiarite e soffocato nel tempo da un silenzio imbarazzante.
“Se ancora oggi si domanda alla gente di questo caso, pur essendo uno dei disastri aerei tra i più gravi accaduti negli ultimi anni, nessuno ne ha notizia” così ha commentato alla nostra redazione la giornalista e avvocato Susanna Donatella Campione, raggiunta nel pomeriggio al telefono.
In un articolo pubblicato su La Gazzetta di Massa e Carrara l'8 gennaio scorso, la Campione è intervenuta con decisione nel tentativo di squarciare il silenzio calato su questo caso, di cui sempre poco si è parlato e di cui, invece, è il caso di parlare.
L'unica certezza è lo schianto del Boeing 737-200 sul monte Shapiri Gar, a 30 km a est della capitale afghana, in cui perse la vita un intero equipaggio. “Incidente per avverse condizioni meteorologiche”: è la spiegazione ufficiale che fu subito battuta dalle agenzie di stampa.
L'inchiesta della procura di Roma fu archiviata rapidamente avvallando il rapporto tecnico redatto dai carabinieri di stanza in Afghanistan nel settembre 2005 che parlava di “disorientamento del pilota in fase di atterraggio”. Il rapporto ufficiale della commissione d'inchiesta istituita dal ministero dei trasporti afghano del febbraio 2006 concludeva affermando che «l'aereo scese al di sotto della minima altitudine assegnata, ma le ragioni di questa discesa non possono essere determinate».
Tredici anni dopo, nel 2018 il Corriere della Sera riapriva quella triste pagina con un'inchiesta firmata da Francesco Battistini ed Enrico Mannucci che smentiva la tesi dell'incidente dovuto al maltempo, riportando il parere di due esperti italiani che scelsero di rimanere anonimi.
Oggi, dopo tre anni da quell'audace inchiesta, è finalmente approdata in parlamento un'interrogazione sul caso a firma dell'onorevole Cosimo Ferri, componente in quota Italia Viva della commissione giustizia della Camera dei Deputati. E' una notizia significativa, se non addirittura inattesa: qualcosa torna dunque a muoversi e speriamo non si fermi.
“Nonostante la gravità dell'episodio – si legge nell'interrogazione di Ferri - l'intera vicenda rimane sotto molti aspetti avvolta dal mistero, ed è importante non solo compiere ulteriori accertamenti ma, sussistono anche gli estremi della riapertura delle indagini penali da parte della procura di Roma, atteso che in precedenza non si è tenuto conto di aspetti fondamentali emersi nel successivo rapporto della Commissione ufficiale afgana e di quelli raccontati nell'inchiesta del Corriere della Sera”.
Nel testo dell'interrogazione, Ferri sottopone ai destinatari le incongruenze che non meritano certamente il silenzio istituzionale che i familiari delle vittime hanno subito fin qui: “Del tutto senza spiegazione rimangono, in particolare: le manifeste anomalie nell'itinerario del velivolo, emerse anche dallo studio delle carte di volo e delle relazioni ufficiali e il mancato rispetto della procedura standard di avvicinamento all'aeroporto; la mancata richiesta di assistenza speciale da parte dei piloti e l'assenza d'invio di segnali d'allarme dalla cabina di pilotaggio; il mancato ritrovamento della scatola nera contenente le registrazioni audio della cabina di pilotaggio; il ritrovamento, giorni dopo l'accaduto, della seconda scatola nera priva dei dati di volo”.
Non solo: “Ulteriori anomalie si registrano circa l'intervento sul luogo del disastro di militari americani e il trasporto delle salme dei passeggeri statunitensi – cui, peraltro, era vietato volare con la compagnia aerea Kam Air – presso la base militare americana di Bagram, senza la previa autorizzazione del medico legale incaricato, colonnello dei carabinieri Carlo Maria Oddo, nonché la mancata effettuazione, nell'immediatezza del fatto, di alcun tipo di esame autoptico tossicologico sui corpi dei piloti (procedura obbligatoria dal 1990, in caso di incidenti di volo)”.
Fatti che, secondo Ferri, impongono di fare chiarezza sull'accaduto: “Occorre incaricare esperti che, esaminate le carte e i dati in possesso, possano chiarire la dinamica del caso, anche per interrompere quel doloroso, assordante silenzio istituzionale”.
Si tratta di sapere: “Di quali elementi disponga il governo e se non intenda promuovere iniziative, anche di carattere diplomatico, al fine di contribuire a chiarire le circostanze di una tragedia che ha visto coinvolti tre nostri connazionali”.
Si riapra il caso, dunque, si faccia chiarezza e si renda giustizia alle vittime ed ai loro famigliari.