La versione di Giancarlo Tonini, imprenditore del marmo, ex presidente di IMM ed ex membro dei Saggi di Confindustria su ciò che ha determinato la crisi del marmo, apparsa sulla stampa in questi giorni, ha suscitato la riflessione, accurata e puntuale, di Pierlio Baratta, esperto di economia e finanza, ex assessore al bilancio del comune di Massa e membro del comitato di indirizzo della Zona Logistica Semplificata apuana. Un’analisi, quella di Baratta, che inquadra aspetti diversi, spesso poco rilevati e che tenta anche di trovare soluzioni per invertire la tendenza. Un passaggio, come ha sottolineato lo stesso Baratta, dal metodo Hemingway volto a studiare strategie in base agli esiti, a un’interpretazione darwiniana che analizza le cause per trovare soluzioni.
“La crisi del bianco - spiega Pierlio Baratta- era ed è un fenomeno prevedibile e purtroppo irreversibile. Sono anni che stiamo assistendo a fatti anticipatori che avrebbero fatto pensare ad una contrazione/crollo del mercato. Analizziamo a posteriori cosa è successo, anche perché nessuno, me compreso, ha la sfera di cristallo. Le origini di questa crisi annunciata sono più di una: economiche, internazionali, ambientaliste, legate alla moda e al trend di mercato, determinate dalle tensioni geo politiche, ma una tra tutte è quella che, a mio avviso, ha segnato in misura più marcata il cambio di tendenza. Mi sto riferendo alla progressiva scomparsa dei commercianti e alla contrazione della filiera. Queste figure hanno creato, con il loro lavoro, nuovi mercati, facendo conoscere in giro per il mondo produzioni e cave che non avrebbero mai avuto alcuna visibilità, se non fosse stato per la caparbietà e l’ intraprendenza di questi pionieri che io definivo novelli Marco Polo, apostoli della produzione e della bellezza dei materiali locali. Materiali che, per lungo tempo, erano ignorati, improvvisamente, grazie al commercio, divennero conosciuti, segnando le sorti dei cavatori. L’assenza di pianificazione e l’intraprendente aggressività di qualche cavatore, che ha voluto accorciare la filiera, portando il cliente direttamente in cava, hanno segnato progressivamente l’inizio della fine. I prezzi hanno iniziato a calare, ma, soprattutto, l’estinzione progressiva delle ditte di commercio e lavorazione ha frenato quel marketing necessario, che solo i commercianti erano in grado di fare, spinti dalla voglia di esplorare e portare a conoscenza di nuovi clienti il bianco di carrara. E adesso? “Chi è causa del suo mal pianga se stesso” mi verrebbe da dire, ma per onestà intellettuale, almeno nel breve periodo, non saprei proprio come immaginare un economia senza il marmo e quindi: che fare? Allungare nuovamente la filiera, che è stata inconsciamente accorciata da chi ha creduto (come del resto è stato fatto dalle grandi piattaforme di e commerce), e magari crede ancora, che la rete dei commercianti potesse essere scavalcabile, così come le lavorazioni o la necessità di pensare sistemi di tracciabilità intelligenti volti a connotare il bianco come brand internazionale fosse inutile. A chi cita Hemingway, io rispondo citando Darwin. Sì, perché la nostra lenta estinzione ha un background evolutivo o meglio involutivo. Abbiamo creduto di poter fare a meno del commercio, accorciando la filiera; non abbiamo investito in tecnologia ed innovazione, come hanno fatto i turchi, i cinesi e gli altri competitor mondiali citati da Giancarlo Tonini, ma soprattutto non siamo riusciti a creare quel sistema che contraddistingue le altre comunità economiche (cito ad esempio il consorzio del parmigiano) fatto di regole e fair play. A tutto questo si aggiungono politiche commerciali e tecnologie emergenti, normative ambientali (vedasi il recente regolamento UE sulla sostenibilità ambientale nelle costruzioni) che hanno portato molte grandi aziende a rivedere le produzioni, costruendo enormi impianti in tutto il mondo che realizzano copie identiche della pietra naturale (irriconoscibili anche agli occhi dei più esperti), esenti da difetti con caratteristiche di resistenza ai fattori ambientali e soprattutto con intercambiabilità tale, per cui il mercato li ritiene meno costosi, più compatibili e soprattutto garantiti da una velocità di produzione che supera di almeno cinquanta volte quella della pietra naturale. Cosa fare adesso? Investire in innovazione sembra quasi un mantra, ma in verità è l’unica risposta che si può dare. Sfruttare tecnologie emergenti ed esistenti, presenti già da anni per contraddistinguere il nostro prodotto, per farlo conoscere nel dettaglio attraverso la diffusione di dati che dovranno essere contenuti in ogni pezzo, così che anche un occhio meno esperto, come il mio, possa con facilità capire da dove viene, come è stato fatto e chi lo ha fatto".