Centro pavimentazione 1
   Anno XI 
Lunedì 26 Maggio 2025
Spazio disponibilie
Spazio disponibilie
Spazio disponibilie
Spazio disponibilie
Spazio disponibilie
Spazio disponibilie
Spazio disponibilie
Spazio disponibilie

Scritto da Alessandro Fiorentino
Fivizzano
13 Maggio 2025

Visite: 568

Hanno cominciato a scaricare qui nel 1975 ed hanno finito nel 1983” comincia così il racconto di Riccardo Bini, il presidente del circolo di Cecina di Fivizzano, parlando della discarica abusiva creata lungo una strada secondaria che collega le frazioni di San Terenzo e appunti Cecina. La memoria va agli eventi accaduti nel 1983, quando stanchi di tutto quel via vai di camion provenienti da Fosdinovo e da Fivizzano, che scaricavano enormi quantità di rifiuti di ogni tipo, i paesani si riunirono spontaneamente in una manifestazione che durò ben sessantotto giorni consecutivi, con un sit in che coinvolse centinaia di persone provenienti da tutte le frazioni circostanti. “Bloccammo i primi camion verso la fine di maggio, lo ricordo bene perché passava il giro d’Italia e la Juve perse la finale di Coppa Campioni  ad Atene. Richiamati dalle nostre proteste ancora oggi i superstiti di quelle proteste si ricordano la colonna di Alfette dei Carabinieri che vennero fin quassù per fare servizio di ordine pubblico. Se vai a cercare gli articoli negli archivi vedrai che li trovi” continua Riccardo

La vasta area boschiva, che si presenta oggi come una zona pianeggiante, era, una volta, una scarpata che mano a mano che arrivavano i rifiuti veniva ricoperta con la terra asportata da una vicina cava di ghiaia. I paesani ricordano ancora bene i camion dell’immondizia di Fivizzano, quelli provenienti dalla cartiera di Monzone di proprietà di Tronchetti, dalle cave della Walton ed addirittura dall’ospedale di Fivizzano: “Un giorno siamo andati a vedere cosa avevano scaricato”  ci dice un affiliato al circolo che sentendoci parlare si unisce alla conversazione “c’erano schifezze di ogni genere, abbiamo visto anche resti biologici dell’ospedale, c’erano dei feti umani frutto di aborti”. Qualcun altro dice di aver scattato delle foto che al momento non è in grado di mostrarci, ma promette di farcele vedere se solo riuscirà a ritrovarle. Immaginare una discarica di così vaste dimensioni è difficile, sembra quasi il frutto di un’esagerazione ed allora prendiamo le macchine ed andiamo a vederla. Poche centinaia di metri sotto la frazione, lungo la strada principale, incontriamo un incrocio che iniziamo a percorrere a piedi. La giornata è calda e asciutta, ma dopo un paio di minuti di cammino ci imbattiamo in alcune pozzanghere che non avrebbero ragione di esistere perché il terreno circostante è secco, l’acqua proviene dal sottosuolo e con essa un odore decisamente poco piacevole. Lungo il sentiero, in quel tratto in terra battuta, spuntano in ogni dove pezzi di plastica, bottiglie, il sottosuolo sembra quasi germogliare spontaneamente di qualsiasi tipo di rifiuto solido. L’odore si fa più pungente ed in quel momento ci fanno andare all’interno dell’area boschiva nel versante che guarda verso valle. Il panorama è devastante e scioccante, una montagna allucinante di rifiuti, come quelle che si vedono nei documentari sugli slum delle periferie del terzo mondo. Anche al tatto la sensazione è incredibile, il terreno è elastico, siamo sopra metri e metri di spazzatura di ogni tipo. “È enorme” ci dicono i nostri accompagnatori “ci siamo esattamente in mezzo è più grade di un campo da calcio, tutta questa parte del monte è fatta di rifiuti ricoperti di terra. Negli anni ’80 abbiamo avuto un incremento drastico di decessi per tumore. Il terreno è avvelenato e i nostri genitori, i nostri nonni che campavano di quello che forniva loro il terreno, mangiavano ciò che veniva raccolto qui. Una volta non c’era la coscienza civile di oggi, nessuno di loro era informato sui rischi. Siamo noi con le nostre proteste che abbiamo fermato lo scempio”. Lo sconcerto aumenta nell’apprendere che, dal momento in cui ufficialmente sono terminate le attività di scarico, ovvero nel 1983, questa realtà di cui tutti erano a conoscenza è finita nel dimenticatoio, lasciando che il suolo si impregnasse di ogni veleno possibile ed immaginabile. Nessuno ad oggi si è mai impegnato per bonificare la zona, quando più a valle scorre il torrente Bardinello che poi si immette nel Bardine e di lì nella rete idrica naturale di fondo valle.  I nostri boschi rischiano di diventare terreno fertile per un fenomeno simile a quello della terra dei fuochi, specie se incidentalmente dovesse nascere un incendio che provocherebbe la dispersione nell’ambiente veleni di ogni sorta.  Chi sapeva non ha mai fatto nulla di concreto ma da oggi anche chi non sapeva nulla, non può più girarsi dall’altra parte ed ha l’obbligo morale, e civile di ridare dignità ad un territorio ed ai suoi abitanti.   

Pin It
  • Galleria:
Spazio disponibilie
Spazio disponibilie
Spazio disponibilie

RICERCA NEL SITO