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Scritto da Carmelo Burgio
Politica
19 Giugno 2024

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Il Corpo dei Carabinieri Reali, fondato nel 1814 nel Regno di Sardegna, continuò ad usare la marsina turchina, bleu notte, dalle caratteristiche falde a coda, quando la riforma di Carlo Alberto istituì la tunica, giubba lunga a 1 o 2 petti, per l’Armata Sarda. Solo loro e le Guardie del Corpo del Re indossavano quella montura.
In seguito, con l’evoluzione delle uniformi e del colore, questo capo rimase in uso fino ai giorni nostri, specie per parate e cerimonie, ma anche per servizi d’onore. Pennacchio, lucerna, bandoliera con giberna in cuoio, spalline metalliche, il colore nero e le finiture rosse del tessuto, gli alamari, son diventati in un certo senso iconici, affiorando in quadri, films, fotografie antiche e più recenti. 
Se l’ufficiale utilizzava per la cerimonia di nozze l’uniforme da cerimonia o da sera, quella a doppio petto coi gradi al polso, carabinieri e sottufficiali preferivano la Grande Uniforme Speciale, con quella marsina così evocativa, e progressivamente anche molti ufficiali hanno seguito questa costumanza. Per l’importanza conferita a questa simbolica uniforme, per poterla indossare in quella magica occasione, era prevista l’autorizzazione del Comando Generale dell’Arma, vincolata a informazioni dei comandi dell’Arma competenti che attestassero che la cerimonia fosse di buon gusto e non si verificassero situazioni imbarazzanti per il decoro dell’Istituzione.
Colpiva assistere a uno di questi eventi, che riportavano al grande De Sica, ai suoi “Pane, amore e…”, ad un’Italia che non c’è più. Un comandante, quando un militare presentava richiesta, non poteva che gioire per il suo senso d’attaccamento.
I tempi son cambiati, e ora questa tradizione è stata vietata.
Troppo facile osservare che una pur risibile percentuale di matrimoni – peraltro non validi giuridicamente in Italia e pubblicizzati con video divenuti virali – abbia spinto le superiori autorità a impartire tali disposizioni. Inutile anche negarlo. Non si può escludere che fossero quelle celebrazioni le reali destinatarie del provvedimento.
Eppure vi son motivi che, per un certo verso, sono ineccepibili. Se l’indossare la G.U.S. deve costituire motivo di critiche anche violente, provocando strumentalizzazioni e polemiche, se mantenere una tradizione deve condurre a questo risultato, meglio interromperla. Si dovrà affrontare solo la prima gazzarra, immediatamente infatti montata, e poi non se ne parlerà più.  
Il divieto generale permette di non incappare nella disparità di trattamento. Oltretutto in tali frangenti indossarla non costituì mai diritto: ricordo dovesse essere chiesta l’autorizzazione.
E non è stato vietato, né può esserlo – fatte salve determinazioni coinvolgenti tutte le Forze Armate – indossare al matrimonio l’uniforme da cerimonia o da sera, oggi acquistabile anche da truppa e sottufficiali. Per cui avremo comunque video virali, del resto già circolanti, con queste monture, e le conseguenti solite critiche di chi, forse, potrebbe un pochino pensare ai fatti propri, o comprendere che non sia il caso di mettersi in mezzo alla strada che permette ad un altro essere umano di vivere la propria felicità, senza arrecargli fastidio.
Qualcuno potrebbe a questo punto obiettare: “Ma se i video e i commenti ci saranno, allora cui prodest?”
Rispondo che forse potrebbe anche essere giusto preservare da polemiche vuote, talora pretestuose, il simbolo – per tanti sacro – di quel “piccolo mondo antico”, e relegarlo alle stampe d’epoca di un tempo che è trascorso, superato da un’evoluzione. 
L’Arma, checché se ne dica, non è mai stata immutabile. Sopravvive da oltre due secoli proprio perché s’è saputa adeguare allo scorrere del tempo. 

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