Tra loro c'è il professor Salvatore Settis, ex direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, esperto di arte e archeologia, i docenti dell'università di Pisa professori Claudio Greppi, Alberto Magnaghi, Paolo Baldeschi, Giorgio Pizziolo, quest'ultimo da anni impegnato nella difesa della Apuane e della legalità e presidente del centro Cervati. E poi ci sono nomi noti per il loro attivismo ambientale in difesa delle montagne locali come Florida Nicolai, Franca Leverotti e Alberto Grossi. Tutti questi, insieme ad altri, hanno firmato una lettera aperta indirizzata ai candidati alla presidenza della Regione Toscana per sottoporre loro i nodi cruciali di quella che loro stessi hanno definito " La Questione Apuana", cioè sul Parco Regionale delle Alpi Apuane, geoparco Unesco,che, secondo il gruppo di ambientalisti è sempre più spesso dimenticato dalla politica. "Non vogliamo solo invocare il rispetto di normative in essere – hanno scritto gli ambientalisti - basti citare i Siti di Interesse Comunitario (non ancora Zona Speciale di Conservazione dopo 20 anni) e la Zona di Protezione Speciale-Important Bird Area, istituiti agli inizi del 2000 per tutelare una ventina di endemismi, numerosi relitti glaciali, animali e uccelli a rischio estinzione,
ma vogliamo rivendicare il rispetto dei codici del paesaggio e dell'ambiente,
sistematicamente violati da alcuni decenni dalla politica regionale, con la totale
condivisione della minoranza.". Il principale problema secondo gli ambientalisti sono le cave presenti nel Parco che, al momento della sua istituzione, quando fu elaborata una mappa non scientifica con lo scopo di attribuire ai siti estrattivi interni all'area, furono designati, con espressione ambiguamente fuorviante, "aree contigue di cava" e che hanno una superficie molto superiore alla realtà.
Cinquanta erano in origine le cave interne al Parco e per una parte di queste era prevista una parziale dismissione nel 2002 in base al piano elaborato dallo stesso Parco, fermato poi dalla politica,oggi sono diventate una ottantina, nonostante il piano paesaggistico adottato avesse previsto la chiusura di circa trenta cave, in quanto operanti in violazione dei codici, e senza l'alibi dell'occupazione, essendo stato previsto il reimpiego per il centinaio di persone lì occupate.
La ricetta degli ambientalisti per ripristinare la legalità in Toscana parte dall' azzeramento del PIT approvato, che è stato riscritto da emissari degli industriali nelle stanze della Regione, come dichiarato nel giornale Versilia Produce e come denunciato da Anna Marson in Consiglio Regionale dopo la sua approvazione.
"Un Pit che in area protetta consente la riapertura di cave dismesse dal 1980 – hanno spiegato gli ambientalisti - teoricamente pianificato in collaborazione con il MiBACT che, più o meno consapevolmente, ha avallato norme in contrasto con il suo stesso codice.". Il secondo suggerimento degli ambientalisti è quello di modificare la mappa d'insieme presente nel sito della Regione e fatta propria da molti comuni, anche questa pianificata insieme al MiBACT, dove l'area Parco figura come area contigua, in modo tale che le cave risultino interne a quest'ultima e non all'area Parco, particolare che, secondo gli amibientalisti deve essere sfuggito al ministero che ha avallato una mappa sbagliata.
" Il terzo punto è fermare i piani di bacino, pensati da Anna Marson allo scopo di disciplinare l'escavazione, ma oggi utilizzati per aprire cave chiuse anche da mezzo secolo
in aree nel frattempo rinaturalizzate. - proseguono le argomentazioni degli ambientalisti – Di seguito rispettare le normative regionali e nazionali sull'uso civico, non consentendo
la riapertura di nuove cave in mappali identificati come tali dal commissario
degli usi civici. Se la Regione legalista vuole aspettare la sentenza finale,
appellata, in un caso, addirittura da un sindaco e nell'altro da una ditta
estrattiva, non può consentire che in questo frangente si aprano nuove cave.
Non devono essere permesse modifiche alla linea di confine delle aree estrattive,perchè queste sono consentite dalla normativa solo dopo l'approvazione del Piano per il Parco e dopo essere state approvate dal Consiglio. Ancora è necessario vietare cave che estraggono solo il cinque per cento di blocchi. In galleria, le rese da decenni si
attestano sull'ottanta per cento e all'aperto sul cinquanta. Un ricavo in blocchi inferiore favorisce un'economia di rapina a danno dell'ambiente perché si scavano aree
fratturate. Ignorare le rese reali e aggrapparsi al rapporto bolcchi-detriti del 20-80 o 25-75 risalente a secoli fa è foriero anche di danno erariale. Infine l'ultima indicazione è quella di
non consentire cave in diretta corrispondenza con le sorgenti, come previsto dal Codice dell'Ambiente.". Il gruppo di ambientalisti ha chiesto un parere sulle proposte avanzate a tutti i candidati alla presidenza della Toscana ed anche a tutti i cittadini che si sentano toccati dalla questione ribadendo che la scomparsa di 50 milioni di metri cubi di montagne prevista per i prossimi dieci anni a causa dell'escavazione selvaggia del marmo non può essere considerata uno sviluppo sostenibile.
Ecco i nomi di tutti i firmatari della lettera aperta:
Nino Angeli
Paolo Baldeschi
Fabrizio Bertoneri
Gianluca Briccolani
Marco Cantarelli
Nicola Cavazzuti
Lucia Ceccarelli
Luciano Di Gino
Franco Giangrandi
Carla Gianfranchi
Gioia Giusti
Patrizia Giusti
Claudio Greppi
Alberto Grossi
Chiarella Lagomarsini
Gianni Ledda
Franca Leverotti
Alberto Magnaghi
Almarosa Medici
Rita Micarelli
Fabrizio Molignoni
Florida Nicolai
Giuliano Pacifico
Elia Pegollo
Giorgio Pizziolo
Salvatore Settis
Baldino Stagi
Marta Vietina