Si oppone con tutte le forze, la sezione Apuoversiliese Luigi Biso di Italia Nostra, alla decisione annunciata dalla Direzione Regionale del sistema museale ligure di demolire la struttura che ospita il Museo Nazionale di Luni distribuendo il suo contenuto in più sedi dislocate sul territorio lunense. Una decisione talmente osteggiata dalla onlus toscano-ligure da arrivare a sperare nelle difficoltà create dalla pandemia come deterrente per proseguire con la demolizione del museo di Luni. Da Italia Nostra Apuoversiliese è arrivata la dettagliata ricostruzione della storia del museo: “ Progettato alla fine degli anni ’50 del Novecento e inaugurato nel 1964 dalla Soprintendente della Liguria, Olga Elia, questo edificio, connotato da caratteristiche tipiche dell’architettura di avanguardia di allora, è una sintesi dei pregi e dei difetti della cultura archeologica italiana dell’epoca. Sintesi talmente significativa, nel bene e nel male, da costituire, a suo modo, un emblema dotato di originalità e di pregnanza. Insomma, nel suo genere è un bene culturale a tutti gli effetti, una testimonianza storica meritevole di essere conservata.
Certo, il sito prescelto per la sua costruzione non era dei migliori: proprio il luogo del cuore religioso e civile di ogni città romana e cioè il Tempio Capitolino con la sua area sacra circostante, della quale evidentemente si ignorava l’esistenza. Tuttavia, proprio gli scavi praticati per la realizzazione delle fondazioni dell’edificio misero in luce le potenti costruzioni del Capitolium. Una scoperta eccezionale se pur casuale, che indicò la via per l’individuazione dell’impianto urbano fondamentale di Luni: l’area del Foro e, da qui, la corretta interpretazione del cuore della città romana.
Una volta resisi conto del marchiano errore, gli allora responsabili della Soprintendenza Archeologica della Liguria si trovarono di fronte a due scelte: proseguire negli scavi, questa volta di tipo archeologico e abbandonare l’idea della costruzione oppure proseguire per dotare finalmente Luni di un museo, allora del tutto mancante. Si scelse di continuare e la soluzione del problema questa volta fu intelligente. Si optò per un edificio dotato di una struttura aerea sostenuta da “pilotis” che permettesse di lasciare a vista l’impianto dell’area capitolina e addirittura di poterla vedere dall’alto, dall’interno della struttura stessa.
Un errore incredibile per una Soprintendenza archeologica fu trasformato in una struttura di servizio a suo modo aperta e funzionale che, vista da una certa distanza, è anche una sorta di “totem” che richiama da lontano l’attenzione su di un paesaggio archeologico quasi del tutto privo di emergenze in alzato.”. Italia Nostra Apuo versiliese ha suggerito l’ipotesi di impiegare i cospicui fondi necessari all’abbattimento dell’edificio nell’estensione organica, consistente e significativa degli scavi all’intera area archeologica al fine di iniziare, finalmente, a mettere in luce l’impianto urbano della città.
“Dopo le fondamentali campagne di scavo degli anni ’70 del novecento – hanno concluso da Italia Nostra - dovute al genio ed alla determinazione del grande Antonio Frova, per decenni si è proceduto, con l’eccezione di un solo caso di una certa consistenza, a sporadici saggi che, per quanto utili, sono ancora ben lontani dal risolvere l’enigma della realtà urbanistica e socio-economica di Luna: la realtà di un centro produttivo a carattere industriale tra i più importanti della romanità per alcuni secoli e del quale, ad oggi, conosciamo meno di un terzo della sua effettiva essenza abitativa e funzionale.”