L'indignazione di due donne, due ambientaliste, due voci provenienti dal mondo accademico e dell'impegno civile ed ecologista, due donne da sempre in prima fila per battersi nella tutela e la salvaguardia di quei 40 km fragilissimi di catena montuosa apuana, irrompe in una lettera aperta. Rivendicano, Franca Leverotti e Florida Nicolai, una salvaguardia legata alla dignità di un principio che riconduce l'imposizione fiscale sul marmo all'appartenenza dello stesso alla collettività, ma che oggi secondo le ambientaliste diventa paravento per alimentare in realtà un meccanismo improntato a interessi privatistici. Non sono tenere le parole della lettera rivolta all'amministrazione Cinquestelle e in particolare al vicesindaco Matteo Martinelli. Il nodo è quell'articolo 21 del regolamento degli agri marmiferi che concede proroghe alla concessione in cambio di investimenti oltreché di produzione in loco. "Leggendo i quotidiani locali-scrivono le docenti universitarie Leverotti, e Nicolai, note esponenti ambientaliste- gli entusiasmi del vicesindaco e i progetti finanziati dalle imprese per avere una proroga temporale, ci si chiede se gli amministratori 5 stelle siano consapevoli di amministrare un comune che fa parte dell'organizzazione di uno Stato del XXI secolo".
E' chiaro il messaggio delle ambientaliste: è lo Stato, è la Regione, è il Comune, è la realtà pubblica insomma che si deve occupare dei cittadini, non le imprese private che per definizione sono protese verso il profitto privato. Proprio con l'obiettivo di curare gli interessi della comunità dovrebbe essere messa in campo una adeguata imposizione fiscale, sostengono Leverotti e Nicolai. Rivendicano le ambientaliste: "Spetta agli amministratori locali farsi carico direttamente delle necessità dei cittadini e l'intermediazione delle imprese porta alla luce una macroscopica distorsione, ovvero la mancanza di un'adeguata tassazione della materia prima che appartiene alla collettività. Le ditte finanziano le opere con il guadagno "superfluo" che indirizzano ancora una volta per vantaggio personale (il prolungamento delle concessioni) ed il loro impegno finanziario corrisponde ad una minima percentuale dei ricavi stratosferici che risultano dai bilanci annuali, dove gli investimenti sono indirizzati ai potenti macchinari ed in minima parte alla manodopera di cui non c'è quasi più necessità".
Mettono il dito sulla ferita e parlano dunque di un settore dove la manodopera non sarebbe più necessaria in virtù della robotizzazione: per cui quali sarebbero i benefici per la comunità a fronte di proroghe di concessione? Si chiedono le ambientaliste.
L'ultima stoccata di Franca Leverotti e Florida Nicolai è la più sottile: capacità imprenditoriale o piuttosto la casualità fortunata di trovare una vena apprezzata dal mercato e che comunque appartiene alla natura e alla collettività? E se proprio si vuole praticare il libero mercato: sulla concentrazione in poche mani di questa "fortuna", cosa potrebbe decidere l'Antitrust se ne fosse messa al corrente magari dall'amministrazione stessa? Questa infatti è la conclusione della lettera:" Aggiungiamo che la "fortuna" di certe aziende non è legata alle loro capacità imprenditoriali, ma piuttosto alla scoperta di una vena eccellente o di un marmo "alla moda" che ha suscitato interesse sul mercato. Dunque, nessun valore aggiunto a quella vena che si trova in natura, materia prima, esauribile, che appartiene a tutti noi. Viceversa, è da attenzionare il concentramento in poche mani delle cave di pregiato Bianco P perché contraddice al libero mercato e dunque sarebbe da segnalare all'Antitrust da parte dell'amministrazione, che ne è al corrente".