L'intervento del presidente del Senato, che aveva omesso di consultare l'anagrafe delle vittime altoatesine, circa l'attentato di Via Rasella, ha offerto ai suoi detrattori l'occasione per scatenare una facile polemica e a me l'occasione di far conoscere sull'argomento il pensiero del mio amico carrarese Nardo Dunchi (1914 - 2010), “uno dei più grandi partigiani combattenti d'Italia”, secondo Giorgio Bocca, come già feci nell'aprile 2012 quando, in occasione del decesso di Rosario Bentivegna, il professor Sergio Luzzatto ne tessé l'elogio sul giornale Il Sole 24 ore chiamando in causa, in modo assai irriguardoso, Bruno Vespa che la pensava diversamente.
La mia lettera a quel giornale fu pubblicata il 12 aprile 2012 intestandola in grassetto “Via Rasella è stato un errore”. Nardo Dunchi, ufficiale degli Alpini a Cuneo, dopo l'8 settembre 1943, fu con Duccio Galimberti, Nuto Revelli, Ignazio Vian, Dante Livio Bianco, Riccardo Boschiero, Giorgio Bocca, fra i primi organizzatori della Resistenza in Piemonte. Egli definiva mediocri partigiani gli autori di azioni come quella di Via Rasella e portava anche ad esempio le stragi di civili avvenute per rappresaglia nel tratto tosco-ligure ed emiliano della Linea Gotica. Innanzitutto, diceva, se non è necessario, nessuno deve essere ucciso e che a uccidere uno o più soldati isolati non serve a niente perché quelli vengono sostituiti, serve solo a provocare prevedibili rappresaglie. Bisognava, piuttosto, come fece il Maquis in Francia, organizzarsi nell'ombra per attaccare alle spalle i tedeschi quando gli Alleati fossero venuti avanti, perché a un esercito preso fra due fuochi non rimane che arrendersi.
I 32 alto-atesini del Polizeiregiment Bozen morti in Via Rasella sono ricordati in una targa marmorea murata nel Santuario di Pietralba vicino a Bolzano.