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Scritto da Redazione
Politica
01 Marzo 2025

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Già in più occasioni il Tar Toscana lo aveva affermato e ribadito: «… non è contestabile che la zona apuana costituisce un unicum dal punto di vista ambientale e paesaggistico, tant’è che è stata riconosciuta come geoparco dall’Unesco. E ancora: «[nel comprensorio apuano] l’estrazione avviene in zona fortemente rilevante e delicata sotto il profilo ambientale e paesaggistico».Ora, a mettere la parola “fine” sulle infondate pretese di Confindustria e delle aziende Società Apuana Marmi – S.A.M., Guglielmo Vennai, Caro & Colombi, successori Adolfo Corsi Carrara, Gemignani e Vanelli Marmi, ci ha pensato il Consiglio di Stato che ha rigettato i diversi appelli presentati e ha confermato che i «due elementi, pregio ambientale della zona e pregio commerciale del marmo estratto, rende non irragionevole e rientrante nella discrezionalità del legislatore la previsione di un regime particolare nella determinazione del contributo di estrazione». Ma non solo: ha definitivamente affermato che «la delicatezza [della zona Apuo-Versiliese] è fatto notorio, così come la diretta incidenza in essa dell’escavazione sul paesaggio, composto proprio dalle montagne dalle quali si effettua l’estrazione del marmo la quale ultima incide irreversibilmente sul primo e in generale sullo stato dell’ambiente, non essendo il marmo una risorsa rinnovabile».Sono quindi, ancora una volta, i giudici amministrativi a sottolineare come il contributo di estrazione non costituisce un “tributo” bensì un “indennizzo” disposto a favore della collettività per i danni (sì, “danni”, si legge nella sentenza) conseguenti allo sfruttamento della risorsa marmo: la ragione fondante il contributo «è rinvenibile nell’esigenza di indennizzare la collettività per il disagio comunque correlato allo sfruttamento del suolo, essendo certa l’incidenza negativa dell’attività estrattiva sul paesaggio e sull’ambiente inerenti alle zone limitrofe a quelle di collocazione della cava». Non meno interessanti le motivazioni con le quali i giudici di Palazzo Spada rigettano un ulteriore motivo del ricorso degli industriali: è giusto che il contributo di estrazione colpisca pure gli “scarti di lavorazione”, «poiché questi vengono commercializzati per essere utilizzati in diverse attività produttive, generando quindi un profitto per le imprese escavatrici».Non ci sarebbe, a questo punto, molto da aggiungere, se non sottolineare che queste censure, nette, alla cultura estrattivista dei marmisti locali, alla loro incapacità di assimilare il concetto di sostenibilità ambientale, sociale e di governance, questa volta non vengono dai “soliti ambientalisti” ma dalla magistratura amministrativa (e dalla Corte Costituzionale). E anche che l’amministrazione comunale – che pure si è opposto con la Regione Toscana ai ricorsi e all’appello – dovrebbe finalmente abbandonare ogni possibile tentazione di “compatibilità” nella relazione con questo mondo ed assumere atti coerenti e conseguenti non solo sul piano strettamente tributario.

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